Nei primi anni 70 le forze dell'ordine sono state in grado di infiltrarsi almeno tre volte nelle BR (Pisetta, Girotto, Marra). Possibile che tale fenomeno non si sia più verificato di fronte a BR più vaste e sanguinarie? Perché Frate Mitra è stato bruciato subito anziché approfittare del ruolo che si stava ritagliando all'interno delle Brigate Rosse? Non le si voleva annientare del tutto?
Marco Pisetta era un elettrotecnico di Trento, dove conobbe Renato Curcio. Nel 1969 commise alcuni attentati dimostrativi contro la sede dell’Inps e il palazzo della Regione della sua città. Nel 1970 si costituì alle forze dell’ordine, ma nonostante la condanna inflittagli di tre anni, dopo pochi mesi fu rimesso in libertà.
Grazie al suo arresto il 2 Maggio '72 venne individuata la principale base milanese delle Br, in Via Boiardo. Nel covo vennero ritrovati archivi importanti, alcune armi e il passaporto di Feltrinelli; la Polizia arrestò 30 persone, la quasi totalità dei brigatisti.
La testimonianza alla Commisione stragi di Antonino Allegra, ex dirigente di Ps a Milano nei primi anni di piombo:
"Purtroppo si verificò un fatto che, adesso non so, forse dipese da un po’ di leggerezza da parte del questore Allitto che ritenne di indire una conferenza stampa in quel posto, in contrasto con quelle che erano state le nostre decisioni. una volta che i giornalisti erano stati avvertiti, noi non potevamo fare più niente. Moretti sfuggì il pomeriggio, pochi minuti prima che si facesse questa conferenza stampa. Arrivò in macchina in via Boiardo con la 500 di sua moglie. Anche in quella occasione sarebbe stato arrestato."
Alberto Franceschini, ripensando all'accaduto dirà:
"Quello di cui sono certo è questo: se volevano distruggerci, e distruggere l'esperienza delle Br, lo potevano fare già nel 1972. Quell'anno ci furono numerosi arresti, e se volevano ci potevano prendere tutti. Ma questo non è accaduto."
Successivamente Pisetta si trasferì a Friburgo in Germania. Il Mossad offrì la sua testa ai brigatisti, rivelando loro il luogo dove si nascondeva. L’operazione di vendetta brigatista non giunge al fine sperato e Pisetta, dopo molti anni di latitanza, si costituì ai carabinieri nel 1982, usufruendo della grazia da parte del presidente della repubblica Francesco Cossiga quattro anni più tardi.
L’infiltrato "Rocco", vero nome Francesco Marra, era uno degli informatori del commissario Musocco ed amico del brigadiere dei Cc Pietro Atzori, il piu' stretto collaboratore del generale Francesco Delfino. Prima di entrare a fare parte delle Brigate rosse, vantava trascorsi da paracadutista e addestratore all’uso di armi e esplosivi.
Il Marra si rese protagonista in prima persona di azioni violente in associazione con altri brigatisti: nel gennaio del ’73 partecipò all’irruzione nella sede milanese dell’ "Unione cristiana imprenditori e dirigenti d’azienda". Il 18 aprile del ’74 prese parte al rapimento del giudice Sossi. Nel maggio dello stesso anno irruppe nella sede del "Comitato di resistenza democratica" di Edgardo Sogno. Nel febbraio del ’75 partecipò all’azione che portò all’evasione dal carcere di Curcio.
Nonostante la gravità degli episodi di cui si rese responsabile "Rocco", non è mai stato interessato da nessun provvedimento giudiziario a proprio carico. Il suo nome emerse casualmente nel 1976 in seguito alle notizie pubblicate dal settimanale "Tempo" relative all’addestramento di alcuni brigatisti alla tecnica del ferimento alle gambe. L’addestramento sarebbe avvenuto nella base segreta del Sid di Capo Marrargiu ad opera dell’ex paracadutista Marra.
Il pentito Alfredo Bonavita, esecutore materiale del rapimento del giudice Sossi insieme a Marra, non ha mai citato il nome dell’infiltrato Rocco fra i brigatisti coinvolti nell’azione.
Alberto Franceschini in Commissione stragi dichiarò:
"Marra era un brigatista; con me ha fatto almeno cinque rapine; ha sequestrato Sossi ed era uno di quelli che voleva ammazzarlo."
Discorso a parte merita Silvano Girotto, personaggio dai trascorsi burrascosi e romanzeschi.
Figlio di un maresciallo dei carabinieri, non ancora maggiorenne venne condannato per rapina, in seguito riparò in Francia e si arruolò nella Legione Straniera con il falso nome di Elio Garello, matricola 115353; rientrato in Italia venne arrestato nuovamente per rapina; in carcere maturò la scelta di abbracciare il sacerdozio; nel 1969 si recò come missionario in Bolivia; rimpatriò in Italia nel 1973 oramai noto come "frate Mitra".
Girotto entrò in contatto con il capitano Pignero del Nucleo Speciale dei carabinieri di Torino e avviò i primi contatti con i capi brigatisti. In soli tre incontri tra Girotto e i brigatisti l’8 settembre 1974 si arrivò all’arresto di Alberto Franceschini e Renato Curcio.
Pochi giorni prima, il 3 settembre, il brigatista Enrico Levati, ricevette una telefonata anonima che l’avvertiva della trappola che si nascondeva dietro l’incontro. L’arresto dei due leader BR avvenne senza imprevisti nonostante Mario Moretti, informato della cosa, cercò senza successo di avvertire i compagni.
Probabilmente la telefonata anonima proveniva da un informatore delle BR all’interno o dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’interno o del palazzo di giustizia di Milano. Franceschini ha invece ipotizzato che dietro l’anonimo informatore si celassero i servizi segreti israeliani interessati all’opera di destabilizzazione che le BR portavano avanti.
Dopo l'arresto di Curcio e Franceschini, Frate Mitra scrisse una lettera aperta alle Brigate Rosse. Eccola:
"E così signori mentre strombazzavate ai quattro venti il vostro folle proclama di attacco al cuore dello Stato, al cuore siete stati colpiti voi.
È vero: i carabinieri hanno agito con la mia attiva collaborazione. Non ho mai inteso negarlo e non ho mai risposto prima al vostro ameno volantino solo perché impegnato a preparare per voi ulteriori legnate (lasciamo perdere termini come “imboscate”. Siamo seri.)
Di legnate dunque ne avete avute e ne avrete ancora finché non la smetterete di provocare le masse lavoratrici con le vostre assurde imprese di piccoli borghesi frustrati e megalomani.
Mi avete definito, e continuate a farlo nel sottobosco politico della ultrasinistra, un “agente dell’imperialismo” membro di chissà quale corpo repressivo internazionale impegnato a combattere la guerriglia a livello planetario. Accuse che mi aspettavo data la scarsa fantasia di cui avete dato mostra nel lungo periodo durante il quale ho avuto modo di studiarvi.
Terrorismo verbale dunque e, ancora e sempre, un’insopportabile carica di megalomania. Volete infatti dire tra le righe, che le invincibili Brigate Rosse non potevano essere colpite se non dalle forze coalizzate dell’imperialismo distorte dai loro compiti in Vietnam, Cile, Bolivia ecc. per combattere i super rivoluzionari nostrani.
La realtà è molto più semplice, occorre solo un po’ di buon senso per vederla. Vi hanno colpito i carabinieri, quelli che da sempre mettono le manette a ladri e assassini.
Con loro ha collaborato il sottoscritto spinto da un preciso imperativo morale sulle basi di una netta presa di posizione politica.
Per le masse lavoratrici del nostro paese impegnate in una lotta sempre più difficile e serrata eravate dei nemici pericolosi. Con folli responsabilità stavate agevolando l’avanzata della melma fascista. Ciò che avevate fatto era grave. Ciò che stavate per fare lo era ancora di più.
Chiusi nel vostro castello di illusioni febbricitanti di sacro furore contro tutto e tutti non avevate saputo interpretare correttamente neppure sui punti espressi con chiarezza estrema da quegli stessi di cui vi siete auto nominati avanguardia: la classe operaia.
La presenza intempestiva di organizzazioni come la vostra nella dinamica complessa dello scontro di classe ha sempre avuto effetti deleteri. Basti citare, a modo di esempio, la creazione di nuovi e perfezionati strumenti repressivi che, dopo la vostra inevitabile sparizione, saranno rivolti dalla borghesia contro ai lavoratori, le loro vere avanguardie, le loro organizzazioni di lotte. Ho assistito di persona allo svilupparsi di fenomeni analoghi ne ho visto e sperimentando le durissime conseguenze.
Non voglio rivedere nel mio paese sangue operaio sulle bandiere della piccola borghesia anarcoide della quale voi siete un tipico esempio.
Signori so che mi state cercando, so che volete esercitare contro di me la “giustizia proletaria”. Sciacquatevi la bocca prima di parlare del proletariato voi che conducete una vita da “nababbi clandestini” con i succulenti frutti dei cosidetti “espropri rivoluzionari”. Cercatemi pure per me è stato facile colpirvi grazie alle profonde lacerazioni e alle rivalità interne che minano la vostra organizzazione. Ed anche, lasciatevelo dire, perché quanto a lotta clandestina siete ancora dei dilettanti. E comunque possibile che mi troviate. Non mi considero, come voi, invincibile. Certo non vi sarà così facile come rapire gente indifesa o ammazzare uscieri.
Ma ripeto non escludo che riusciate a colpirmi. Gli sgherri di Pinochet e di Banzer unitamente ai loro simpatizzanti nostrani ne sarebbero felici. Anche in questo alla prova dei fatti siete dalla loro parte."
Nella dura missiva Girotto parla di "profonde lacerazioni e di rivalità interne che minano l'organizzazione delle BR."
Rimane difficile da comprendere la scelta di bruciare l’infiltrazione di Girotto. In una intervista rilasciata al "Sole delle Alpi" nel maggio ’99 lo stesso Girotto dichiarò:
"Inutilmente cercai di convincere il mio interlocutore dei carabinieri che, se avessimo aspettato un paio di settimane li avremmo potuti arrestare tutti. Non vollero sentire ragioni e ancora oggi mi domando perchè. Possibile che qualcuno volesse salvare i terroristi?"
In Commissione stragi Girotto affermò che i carabinieri decisero di troncare l’operazione d’infiltrazione in quanto si stava profilando la seria possibilità che l’infiltrato potesse compiere atti criminosi durante l’attività di servizio. Scelta diametralmente opposta fu presa nei confronti di Marra.
Alla prova dei fatti l’infiltrazione di Girotto provocò non la fine delle Brigate Rosse, ma l’avvicendamento dei leader in seno alla stessa organizzazione. Arrestati Curcio e Franceschini, Mario Moretti assunse la guida indiscussa delle BR portandole a scelte militariste e sanguinarie.
Difficile credere che dopo Pisetta,Marra e Girotto lo stato non sia mai riuscito a infiltrare altri uomini all’interno delle BR che nel frattempo crescevano per numero e intensità dell’azione.
Preziose in tal senso possono risultare le dichiarazioni del Generale Alberto Dalla Chiesa e del Generale dei Servizi Romeo.
Dalla Chiesa dichiarò alla Commissione Moro che le operazioni del Nucleo Antiterrorismo erano frutto di un costante monitoraggio della formazione brigatista attraverso il prezioso operato di infiltrati.
Il generale dei Servizi Romeo in seduta segreta davanti alla Commissione stragi confermò la presenza di uomini del suo reparto infiltrati nelle Br: "Posso soltanto dire, ed è per questo che ho chiesto la seduta segreta perché vi sono uomini che potrebbero ancora pagare caro."
Nel luglio 2005 l'ex vicepresidente del Csm ed ex vicesegretario della DC Giovanni Galloni dichiarò che poche settimane prima del suo rapimento, Aldo Moro gli disse:
"Ho per certo la notizia che i servizi segreti americani e israeliani hanno degli infiltrati all'interno delle Brigate Rosse. Però non siamo stati avvertiti di questo. Se fossimo stati avvertiti i covi li avremmo trovati."
Galloni, amico e stretto collaboratore di Moro, aggiunse: "Quando fu catturato il generale della Nato James Dozier, le prigioni furono ritrovate nel giro di quindici giorni."
La teoria del doppio arresto sembra possa essere stata invece adoperata per sferrare un colpo decisivo alle due maggiori organizzazioni eversive. BR e Prima Linea furono decimate da due pentiti: Patrizio Peci e Roberto Sandalo. Entrambi avrebbero subito un primo arresto per poi tornare in libertà e raccogliere informazioni da trasmettere agli inquirenti. Al Corriere della Sera del 7 settembre 2007 l'ex Presidente della Repubblica e ministro degli Interni Francesco Cossiga ha dichiarato: "Dalla Chiesa mi spiegò che secondo le sue informazioni Sandalo era già stato arrestato in segreto, e poi rimesso in libertà a seguito di un accordo tra il giudice Caselli e la polizia, con l'obiettivo di usarlo come agente provocatore e incastrare Donat-Cattin."
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