È lecito credere che personaggi dello spessore di Prodi, Baldassarri e Clò, in una tranquilla domenica trascorsa in famiglia, decidano di fare una seduta spiritica e che proprio in quella circostanza esca il nome di Gradoli?
Da dove proveniva realmente quell'informazione?
La mattina del 18 marzo 1978 gli agenti del commissariato Flaminio Nuovo si presentarono al terzo piano della palazzina al numero 96 di via Gradoli, una stradina residenziale sulla via Cassia.
Una soffiata, forse proveniente da ambienti vicini ai servizi segreti, aveva segnalato all'interno 11, la presenza di un covo delle Br. Gli agenti bussarono alla fragile porta di legno, senza ricevere risposta. Aprì invece l'inquilina dell'interno 9, Lucia Mokbel, e raccontò di aver sentito provenire dall'appartamento sospetto dei ticchettii simili a segnali Morse.
Secondo le disposizioni vigenti i poliziotti a quel punto avrebbero dovuto sfondare la porta, o quantomeno piantonare il palazzo. Invece andarono via.
Il 2 aprile nella casa emiliana del prof Alberto Clò, si svolse una seduta spiritica dove vennero evocate le anime di La Pira e don Sturzo. Ecco come Romano Prodi il 10 giugno 1981 presso la Commissione Moro descrisse la seduta:
"Tra i partecipanti alla seduta vi ero io, che sono un economista, il professor Gobbo, che ha la cattedra a Bologna di politica economica, il professor Clo, che ha l'incarico di economia applicata all'Università di Modena e che si interessa di energia, ma di petrolio, non di fluidi. Vi era anche suo fratello che è un biologo, non so di quale branca, anche se mi pare genetica, e vi era anche il professor Baldassarri che è economista, ha la cattedra di economia politica all'Università di Bologna. Tra le donne vi erano mia moglie, che fa l'economista, la moglie del professor Baldassarri, laureata in economia, ed altre che non so cosa facciano professionalmente."
"Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito."
La notizia fu riferita da Romano Prodi il 4 Aprile ad un collaboratore di Benigno Zaccagnini, il dott Umberto Cavina e da quest'ultimo girata telefonicamente Luigi Zanda Loi, addetto stampa in servizio presso il ministero dell'Interno, il quale a sua volta fissò le informazioni in un appunto manoscritto e lo consegnò al capo della polizia, dott Parlato.
L'informazione fu ritenuta attendibile, al punto che quattro giorni dopo, il 6 aprile, la questura di Viterbo, su ordine del Viminale, organizzò un blitz armato nel borgo medievale di Gradoli, vicino Viterbo, alla ricerca della prigione di Moro.
Fu trascurata un'altra indicazione che la moglie dell'onorevole Moro avrebbe ripetutamente fornito, relativa all'esistenza a Roma di una "via Gradoli". Francesco Cossiga, all'epoca Ministro dell'interno, in seguito smentì energicamente la signora Moro.
Fallito il blitz conseguente alla seduta spiritica, il 18 aprile i vigili del fuoco, a causa di una perdita d'acqua, scoprirono a Roma, in via Gradoli 96, un covo delle Brigate Rosse da poco abbandonato, che si sarebbe rivelato come la base operativa di Mario Moretti e Barbara Balzerani, che avevano preso parte all'agguato di via Fani.
In una intervista rilasciata a Libero il 7 dicembre 2006 Francesco Cossiga ha dichiaratò:
"Il prof. Romano Prodi non ha mentito se non "materialmente", anche esponendosi per aver egli, economista e intellettuale cattolico rigido, all'ironia che tutt'ora permane attorno al fatto della seduta spiritica... Il fatto è che il prof. Romano Prodi è un buon cristiano che ha voluto risparmiare pericoli derivanti dalle confidenze, forse al dottor Clò e al confidente e che certo conosce il libretto di Torquato Accetto: "Della dissimulazione onesta", e conoscendo anche le regole della morale cattolica, ha saputo distinguere tra "bugia formale", che è un peccato, e "bugia materiale" che può essere non solo onesta, ma anche doverosa, come nel caso."
Due le ipotesi più plausibili: qualcuno aveva ricevuto da ambienti universitari vicini all'Autonomia Operaia una soffiata e l'aveva trasmessa, in modo errato, scegliendo la seduta spiritica per non dover rivelare la fonte.
Inquietante la seconda ipotesi: aver fatto uscire il nome di Gradoli paese, determinando l'irruzione militare nello stesso, per segnalare ai brigatisti che le forze di sicurezza si stavano avvicinando a via Gradoli a Roma, vero covo delle BR.
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