Negli anni di piombo la galassia ‘lottarmatista’ ha partorito una realtà diversa da tutte quelle che allora si contendevano il primato della rivoluzione proletaria: i Nuclei armati proletari, i Nap, costola scismatica e armata di Lotta continua. Hanno un’idea ben precisa di cosa debba essere una rivoluzione e sanno anche da dove partire: dai dannati della terra, facendo proprio non Marx, né Lenin, tantomeno Mao, ma Frantz Fanon.
E quei dannati, quei disperati senza futuro, sono tutti coloro che vivono prigionieri dello Stato nei penitenziari privati della dignità, abbandonati al proprio destino, nell’orrore di un sistema carcerario negletto, subdolo e terribilmente crudele. Il messaggio che Lotta continua porta avanti teoricamente è che “la società riproduce i suoi schemi in mille luoghi e situazioni diverse” per cui la lotta politica non può trovare soddisfazione soltanto nelle fabbriche, a difesa degli operai, che pure rimangono l’inno massimo dell’iconografia di quella sinistra.
Ma Lotta continua va oltre, facendosi portavoce di un disagio più tagliente. Convinta della necessità di agire sul territorio, punta a coinvolgere nuove figure “altre” dal mondo operaista: studenti, militari, disoccupati, carcerati, ovvero tutti coloro che per una ragione o per un’altra possano esprimere un radicale dissenso contro l’ordine costituito. Già questo, da solo, è un vero atto rivoluzionario che non può prescindere dal disagio endemico e barbaro che vive il Mezzogiorno d’Italia: un coacervo di situazioni sociali al margine, un cocktail di disagio pronto ad esplodere con impeto. Napoli diventa la culla di Lotta continua e costituirà anche il fulcro per la nascita dei Nap.
Sul finire degli anni Sessanta la lotta al sistema farcisce le carceri di mezza Italia. Lì, in quei luoghi fatiscenti recuperati da vecchi monasteri o strutture settecentesche riadattate alla meno peggio, si crea una miscela esplosiva tra gli studenti politicizzati ed i delinquenti comuni. Entrano i libri, si inizia a ragionare, a confrontarsi, a maturare una coscienza radicale e con essa la voglia di riscattarsi. Contro il sistema. Così germoglia il seme di Lotta continua che in tanti all’interno dei penitenziari hanno fatto proprio trasformandosi da ex detenuti a quadri politici.
La convinzione è una: “Immaginiamo solo per un istante tutti i reclusi della terra liberarsi dalle proprie catene ed assediare la società che li ha resi criminali. Uno scenario barbaro. Degno del peggior incubo notturno. La ribellione degli studenti si esaurisce presto. Quella degli operai può essere adeguatamente controllata e persino strumentalizzata. La rivolta dei miserabili, invece, ha la furia per stravolgere gli equilibri del pianeta”.
La voglia bruciante di riscatto, la necessità spasmodica di staccarsi dalla teoria per agire praticamente, porta alcuni ad allontanarsi da Lotta continua ed armarsi perché la lotta al sistema non si fa con le parole, ma col piombo. I Nuclei ingaggiano la loro piccola rivoluzione proletaria tra rapine, omicidi, sequestri di persona, una lunga teoria di attentati ed evasioni. La loro azione dura solo tre anni in cui si traccerà una drammatica scia di sangue, che li corromperà per sempre come persone e militanti, segnando inevitabilmente il loro triste destino…
Leggere la storia dei Nap è come restituire un tassello importante a quegli anni Settanta attraversati da un fermento irripetibile. Un frammento cruciale per guardare oltre quelli che sbrigativamente venivano chiamati “terroristi” assimilati con ignoranza storica alla straripante esperienza brigatista. La storia dei Nuclei armati proletari è anche la storia di un sistema carcerario agghiacciante, dell’incapacità dello Stato di provvedere al reinserimento sociale degli ex detenuti, ma è ancora più crudamente la denuncia di un apparato militare brutale che esercitava il potere con la consapevolezza dell’impunità.
I Nap sono stati un’esperienza effimera, ma intensa. Di estrazione perlopiù borghese, si sono arricchiti col tempo di quel lumpenproletariat disprezzato e sottovalutato, che però ha costituito la colonna portante di tutta la struttura e la linea di fuoco più accanita. Ma sempre di rivoluzionari improvvisati si trattava, animati più da convinzioni genuine di una rivoluzione sic et nunc che da sinergiche capacità organizzative.
Probabilmente, molte delle responsabilità della loro breve stagione vanno imputate ai numerosi errori commessi nel tempo, dai quali non sono mai stati in grado di riprendersi e dall’aver perso di vista, ad un certo punto della loro storia, il motivo vero della loro lotta, confondendolo con una inutile e fatale vendetta all’occhio per occhio.
Valerio Lucarelli raccoglie per la prima volta in un libro le testimonianze di chi questa storia l’ha fatta. Molti si sono persi per strada, hanno voluto dimenticare. “Molti, saldati i conti con la giustizia, hanno potuto contare su un appoggio, garantitogli dalla loro provenienza. E pur tra consistenti difficoltà, hanno avuto una possibilità. Chi invece proveniva dal disprezzato Lumpenproletariat, chi dall’emarginazione aveva pensato di potersi finalmente riscattare, chi aveva risvegliato l’anima con la rivolta, non ha trovato dighe ad arginare la caduta. Quando la fiamma si è spenta è precipitato lì, esattamente dove era partito tanti anni prima. Tra i dannati della terra”.
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