"Ci sono storie di animali che fanno cose strane, senza motivo, lontane da quello che per natura quegli animali dovrebbero fare, eppure lo fanno. Perché devono farlo, come se esistesse dentro di loro qualcosa di incontrollabile, che non è l’istinto a cui obbediscono sempre, ma un altro istinto, l’istinto dell’istinto; l’altra faccia dell’istinto. … forse è quella vera. giusta. la faccia giusta" .
All’inizio ho creduto fossero racconti, con tutti questi animali metropolitani in un contesto di cemento e asfalto. E l’asfalto li inghiotte a volte. L’anatra pneumatica e la zecca indecisa, la sogliola rossa come una ferita fresca, il polipo coi binari. Il granchio strabico e l’acciuga sconosciuta. Le formiche torturate dalla nonna. Gli animaletti rossi infiniti e il falco pensiero. Due pit bull e un setter. Il gatto con la schiena rotta sull’asfalto e gli occhi in su che vorrebbero fare rewind sulla vita.
Poi piano sono apparsi gli uomini. Carmine o schiattamuort, Slator l’albanese detto Salvatore, o’ Rugnus. "Quando soffrono gli uomini sono come gli animali. Il dolore non si sceglie o si conosce prima, arriva quando vuole. E si fanno tante cose nella sofferenza; si mangia, si beve, si piange, si spera, si pensa. Ma in realtà non si fa nulla. Tranne questo: obbedire al dolore stesso. L’obbedienza, il collo che stringe e non fa respirare, il mondo che si sbriciola in una stanza e in un letto, in una camicia da notte che diventa vestito, quest’obbedienza è puro istinto. E’ un modo di vivere. Diventa quotidianità. Istinto. Un istinto continuo. Come gli animali"
Quelle degli uomini mi sembravano altre storie. Ma non è così. Alcuni uomini sono padroni di alcuni animali e c’è una storia ambientata in provincia di Caserta, tra il mercato, la tangenziale e i campi di calcetto. Bisogna ricostruirla. I personaggi, uomini e animali, anche se per un po’ di capitoli vanno ognuno per ‘i cazzi suoi’ (come ha detto l’autore) poi si ricompongono nel puzzle. Qualcuno resta (e accende la luce prima che faccia buio) qualche altro se ne va in un posto del mondo a riprendere il filo interrotto.
Nel libro ad un certo punto in mezzo ad animali e uomini c’è una lettera e dice "Caro Carmine, … dopo vari tentativi di suicidio, mi metto a scrivere. Credo di essere diventato, negli anni, molto bravo a scrivere. Nel senso che in ogni racconto riesco a metterci la vita e la morte con la stessa intensità. Pochi scrittori, quelli grandi, ci riescono. Io ci riesco. Io penso che uno scrittore sia grande quando in ogni sua frase c’è dentro tutto il senso della vita".
Piccirillo è grande. E l’accostamento tra il nome proprio di persona e l’aggettivo sembra una contraddizione e una burla, ma non lo è.