Tra il 1973 e il 1977 i NAP (Nuclei Armati Proletari) bruciarono la loro stella rivoluzionaria in una serie di azioni armate, dirette o "pedagogiche", rivolte ai soggetti sociali più deboli: prigionieri, ex detenuti, marginali, non-garantiti, extralegali. "O ribellarci o morire nei ghetti"...
Franca Salerno, militante e icona femminista dei Nap, si è spenta il 3 febbraio a Roma. Alle spalle la malattia, il tunnel incurabile del carcere speciale. Qualche riflettore acceso sulla camera ardente, contribuirà forse a riconsiderare, come il testo di Lucarelli, l'esperienza rivoluzionaria, inedita, dei Nap.
I Nuclei - il cui simbolo programmatico si deve al vulcanico Claudio Carbone (morto in cella per un probabile attacco cardiaco) - nacquero, secondo la genealogia documentata dall'autore, da una costola di Lotta Continua (Collettivo Carceri) e dal collettivo Jackson di Santa Croce, fondato da Luca Mantini.
Nel loro crogiolo politico i refernti, come le letture formative, sono difformi, spesso "eretici". Sincretismo innegabile che Lucarelli evidenzia nel preludio. "Erano gli ex nappisti i primi a dover capire a quali progetti stessi lavorando".
Nel corso della loro breve esperienza politica sono stati tacciati di "immediatismo". Il loro programma di "lumpen politicizzati" è stato identificato con un destino suicidario. A vent'anni non si può fare altro per un'idea, se non morire per essa scriveva Bertold Brecht.
Fuori da reazioni emozionali, risulta, tuttavia, che i Nap avevano intuito "l'universo foucaultiano": la città penitenziaria, la criminalizzazione preventiva dei ceti pericolosi, i produttori extralegali come consumatori di carcere, lo stato garante di flussi repressivi e finanziari.
Evidenzia Lucarelli: "La percezione è che la loro traiettoria si spinga ben oltre la gabbia degli anni Settanta (...) per aver portato alla luce un mondo a parte, quello dei manicomi e dei penitenziari, fatto di continue vessazioni e della scomparsa definitiva di ogni minimo diritto esistenziale". Il degrado ignobile, immutato delle carceri, e il dilagare delle istituzioni concentrazionarie, disumane, ne sono la prova.
La memoria non è dunque superflua. Citando Jann_Marc Rouillan, fondatore di Action Directe, incarcerato da 25 anni: " La memoria costituisce un territorio di lotta nel quale si affrontano l'espressioni dominante (...) e la memoria ribelle (...). I ricordi tratteggiano la linea del fronte di un combattimento attuale."